IL PRESEPE
MECCANICO
Quando il vecchio mi
apparve davanti, ero intento a rileggere gli appunti presi fino a quel
momento. Mi trovavo nel bolognese, a Colle Acuto, in un bar che definire
squallido sarebbe misericordioso. Era quasi mezzogiorno, ed oltre a me in
quel momento c’era solo il barista, un ragazzo allampanato che dava
l’impressione di continuare ad asciugare lo stesso bicchiere da una
mezz’oretta.
Alzai lo sguardo
verso l’anziano signore che si era avvicinato al mio tavolino,
salutandolo con un cenno del capo ed un sorrisetto di circostanza.
“Buongiorno a
lei,” mi disse in tono cortese, ed io mi vergognai un po’ per
non avergli rivolto per primo la parola. “E’ lei che scrive
per quel giornale?”
Mi ricomposi sulla
sedia. La mia presenza in paese non era certo passata inosservata, e se
dal giorno precedente me n’ero andato in giro a farmi raccontare
storie e leggende più o meno spaventose per il mensile
“Mystero”, era comprensibile che tutti quanti (il paese non
arriva a 500 anime, credo) sapessero di me e di ciò che stavo facendo.
“Sarei io,
sì...” risposi, con una punta di imbarazzo. Non sono un
giornalista, ma non mi dispiace essere scambiato per tale. “Mi
dica.”
“Se mi offre
una birra, le racconto una storia veramente terribile, un fatto avvenuto
a Colle Acuto diversi anni fa...”
Sbottai in un
risolino e gli feci cenno con la mano di accomodarsi pure di fronte a me.
Pensai ad un furbo espediente per scroccare una bevuta, e la cosa mi
andava bene. Sperai che avesse davvero qualcosa di nuovo da raccontarmi.
“Ho già
registrato e trascritto un buon numero di racconti,” anticipai,
perchè non mi propinasse una storia già ascoltata (avevo raccolto almeno
due o tre versioni per ogni leggenda locale). “Conosco il Fantasma
Senza Gambe, la Donna che Grida Aiuto dal Fondo del Pozzo, il Cane
Invisibile...”
Il vecchio agitò una
mano stizzosa come a scacciare una mosca. “No, no! La mia è una
storia vera, senza fantasmi né diavoli. E’ un fatto accaduto qui
nel Natale del 1970. Pochi lo ricordano. E chi lo ricorda, non ne parla
volentieri. Vuole ascoltare?”
In risposta, ordinai
al barista di portare una birra per lui e un latte freddo per me. Quindi
accesi il mio mini registratore, lo piazzai al centro del tavolino e
annunciai: “Sono tutto orecchi!” E il vecchio attaccò.
“Dunque...
Suppongo lei non abbia mai sentito parlare di Gordiano Volpi.”
Scossi il capo, e lui continuò. “Già, è naturale. Io lo
definirei... un artista. Era la piccola gloria locale di Colle Acuto. Di
mestiere faceva l’orologiaio, ma il suo grande ingegno era
applicato alla costruzione di giocattoli e pupazzi meccanici. Realizzava
oggetti fantasiosi e strampalati, che poi vendeva o regalava ai bambini.
Aveva un carattere un po’ eccentrico, certo, ma non più di quanto
ci si aspetti da un artista degno di tale nome...
“Insomma, per
non dilungarmi troppo, le dirò che l’apice del talento di Volpi era
esibito ogni Natale, quando tutto il paese si radunava per ammirare il
suo presepe meccanico. Era una cosa unica, mi creda. Tutto veniva
allestito sopra un palco, in un capannone dietro la chiesa. La
ricostruzione scenica era grandiosa, con pupazzi a grandezza naturale che
si muovevano in armonia al comando dei meccanismi nascosti sotto le assi.
Pastori che camminavano con il loro gregge, il fabbro che batteva il ferro,
il taglialegna che spaccava tronchi, il pescatore con la canna, Giuseppe
e Maria che oscillavano capo e mani in preghiera... Ogni anno, il presepe
meccanico era più ricco, e più sbalorditivo. Quello del ’70 fu
l’ultimo.
“Volpi aveva
una fissazione: che Gesù Bambino fosse un bambino vero. Non lo si poteva
fare meccanico, diceva. Sarebbe stato un gesto blasfemo. Per cui ogni
anno c’erano mamme che addirittura litigavano per avere
l’onore di mettere il loro pargoletto nella culla imbottita di
paglia, davanti ad un bue e un asino che aprivano e chiudevano gli occhi
e ciondolavano i testoni scricchiolanti. Be’: quell’anno
toccò al figlio di Gabriella. Aveva otto mesi, o poco più. Un Bambinello
perfetto, tutto biondo, ricciolino. Aspetti un istante... Ah, che
delizia! Una birra fresca è sempre una birra fresca!...
“Dicevo...
Gabriella era stata la compagna di Gordiano Volpi, ma quel figlio lo
aveva avuto con un altro. Già. Cose che succedono. I due si erano
lasciati in malo modo, può ben capire. Però, per via forse del Natale,
lui le aveva voluto offrire un’occasione di riconciliazione, di
riavvicinamento, chissà... Fatto sta che il piccoletto ebbe l’onore
di essere al centro dello spettacolare presepe meccanico, che
quell’anno era particolarmente sensazionale, ricordo: il
torrentello, il mulino, il firmamento con la stella cometa, i cammelli
sullo sfondo... Tutti erano estasiati, e la musica delle zampogne creava
un effetto davvero magico!...
“Poi venne il
grande colpo di scena. Il meccanismo e i suoi tempi erano stati studiati
alla perfezione, da vero mastro orologiaio. Dalla cima di una collinetta
esplose una piccola variopinta fontana di fuochi d’artificio, e
dalla volta celeste scese un cherubino dorato sbattendo le ali e suonando
la tromba. Ci fu un generale ‘Ohhhh’ di meraviglia, seguito
da un lungo applauso... Quella trovata scenica, però, aveva uno scopo ben
preciso: distrarre gli spettatori mentre qualcosa di terribile stava
accadendo.
“C’era
tutto un intreccio di binari celato sotto il muschio, i binari su cui
scorrevano lentamente i personaggi sulla scena. Ma ci vollero pochi
secondi perchè il taglialegna meccanico si spostasse dalla propria
posizione iniziale davanti al ciocco di legno fino all’ingresso
della capanna, esattamente di fronte alla culla... E lì continuò a fare
il suo lavoro, con la scure, su e giù. Non le dico lo scompiglio che
seguì. Gabriella svenne, ma la ressa era tale che rimase in piedi,
pressata dalla folla che urlava inorridita.”
A quel punto, il
vecchio tacque. Sollevò compiaciuto il bicchierone e scolò l’ultimo
dito di birra rimasta in attesa sul fondo. Io rimasi a fissarlo,
vagamente inebetito. Compresi che non c’era altro. Il racconto era
terminato.
Avvertivo uno
sgradevole tremore alle mani.
“Bene, mio caro
giornalista,” concluse, posando con enfasi il bicchiere esattamente
sul cerchietto umido che segnalava la sua posizione sopra il tavolo fino
a quel momento. Un sottile baffo di schiuma riluceva dal suo labbro
superiore. “Spero che la storia sia stata di suo interesse. Le
ripeto: questa è cronaca, non fantasia. E mille grazie per la birra.”
Detto ciò, il vecchio
si alzò e con un cenno della mano si avviò verso l’uscita. Io
provai a riscuotermi dalla cupa impressione ricavata da quel racconto, e
mi venne istintivo lanciargli almeno un commento di commiato, prima che
se ne andasse:
“Ma questo
Volpi... Lo avranno poi arrestato, immagino...”
Il vecchio mi rispose
scuotendo il capo, senza neppure voltarsi:
“Se lo hanno
arrestato? Certo, ci mancherebbe. Quindici anni, mi sono fatto! Quindici
anni!...”
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